16.10.13

Líbia: Depois da Primavera

Primavera incompiuta, primavera tradita, primavera finita. Anche la rivoluzione araba che aveva creato più illusioni - o che finora aveva subito meno effetti collaterali - sta drammaticamente naufragando. A tre anni dalla morte di Muammar Gheddafi, nell'ottobre, del 2011, la "Nuova Libia" è un Paese nel mezzo di una difficilissima fase di transizione, ostaggio di milizie armate sovente in in conflitto tra di loro. Gruppi decisi a mantenere i loro grandi arsenali privati, davanti ai quali il nuovo esercito libico, se così si può chiamare, può fare poco o nulla. Cosa è successo dopo le elezioni del luglio 2012 quando, cogliendo alla sprovvista il mondo, la coalizione "laica" guidata da Mahmoud Jibril aveva sbaragliato i partiti islamici aggiudicandosi la maggior parte dei seggi (quelli destinati ai partiti) della Nuova Assemblea deputata a scrivere la Costituzione? Innanzitutto il disarmo delle milizie, tante volte invocato dal premier Ali Zeidan, non è mai avvenuto. Senza ripristinare la sicurezza il governo di Tripoli si è ritrovato impotente dinnanzi agli interessi tribali, le divergenze, l'endemico tasso di corruzione. Si sapeva sin dall'inizio che, per un Paese soggiogato da un regime durato 42 anni, la strada sarebbe stata tutta in salita. Ma anche le più flebili speranze sono andate deluse. Il già precario processo di democratizzazione si è arenato, quello di ricostruzione è paralizzato da due anni. Risultato: il fragile Governo guidato dal premier Ali Zeidan, rapito oggi proprio da una milizia, deve navigare a vista, cercando di strappare un consenso diverso di settimana in settimana a un'Assemblea sempre più riottosa. Nel mentre i fratelli musulmani stanno silenziosamente scalando il potere . Fonti del Sole 24 Ore hanno riferito che , attraverso un'operazione costante per accattivarsi i parlamentari indipendenti, controllerebbero oggi la maggioranza del "Parlamento". Ma i problemi non finiscono qui. L'ex regno di Gheddafi è spaccato in due, Tripolitania e Cirenaica, in perenne contrasto, con la regione meridionale del Fezzan ormai in balia di potenti clan che dettano legge e si arricchiscono con il contrabbando attraverso i porosi confini con Niger, Ciad e Algeria. La Tripolitania, la regione dove ha sede il Governo, non vuole sentir parlare di federalismo, e accusa la Cirenaica di ospitare pericolosi movimenti estremisti islamici, fino a cellule clandestine legate ad al Qaeda. A sua volta la Cirenaica, la regione orientale da cui partita la rivolta contro Muammar Gheddafi rivendica una maggiore rappresentanza nei futuri assetti politici della Nuova Libia. Non solo, esige da tempo maggiori entrate energetiche . I venti secessionisti si fanno sempre più insistenti. L'ascendente che i gruppi islamici esercitano sulla popolazione è fonte di grande preoccupazione per la Comunità Internazionale. Lo è ancor di più la crescente presenza di cellule quaediste. Un habitat congeniale per le milizie. Che siano le brigate di Misurata, gli Zindan, quelle di Bengasi, ognuna pretende una larga fette di potere e di autonomia. L'iter per arrivare alla stesura della nuova Costituzione è fermo. La controversa legge dell'"isolamento politico", volta ad escludere dalla pubblica amministrazione gli uomini legati al passato regime, sta paralizzando l'attività di diversi manager pubblici competenti. Questo era il fronte politico, a cui tuttavia si pensava fosse possibile porre rimedio distribuendo la grande ricchezza energetica di cui dispone la Libia, il paese che vanta le maggiori riserve di greggio dell'Africa. Ma da alcuni mesi anche l'industria petrolifera è stata inghiottita dal caos. Travolta da una valanga di scioperi che ha investito la Cirenaica, dove si trovano i maggiori giacimenti di greggio e gas, la produzione petrolifera ha accusato un crollo verticale: in pochi mesi è scesa da punte di 1,5 milioni di barili al giorno (mbg), vale a dire ai livelli precedenti la rivoluzione, a meno di 150mila barili. Da tre settimane la produzione si è ripresa, ma non ha ancora raggiunto il 50% dei livelli di inizio anno. Una pessima notizia per l'Italia, che acquista dalla Libia quasi un quarto delle sue importazioni di greggio. Alla lunga il danno economico per le compagnie energetiche internazionali è ingente. Ma lo è ancor di più quello sui conti pubblici dell'ex regno di Gheddafi, un Paese che vive solo di gas e greggio (il 95% del suo export in valore e circa il 70% del Pil). Come sarà possibile pagare l'esercito degli impiegati pubblici, in Libia quasi un milione su una popolazione di 5,6 milioni? Senza fondi non saranno nemmeno possibili gli aumenti salariali e i generosi bonus su cui il Governo puntava per ottenere il consenso di una popolazione sempre più delusa dall'esito della rivoluzione. E sarà ancor più difficile mettere a libro paga migliaia di miliziani per convogliarli nelle nuove forze armate. Roberto Bongiorni Il Sole 24 ore

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